Mario Adinolfi, scrittore, giornalista, politico e giocatore di poker semi-professionista, con alle spalle diversi tavoli finali al World Poker Tour, sorprende tutti e sul quotidiano Avvenire di oggi illustra il programma politico del Popolo della Famiglia, del quale è presidente.

Tra i punti in programma del Popolo della Famiglia (l'articolo dell'Avvenire è condiviso in un post su Facebook) c'è una promessa: "Vogliamo una guerra continentale contro le dipendenze (droga, alcool, gioco d’azzardo, prostituzione, pornografia) con azioni di contrasto che non lascino spazio a proposte di legalizzazione e liberalizzazione, per proteggere in special modo i minori".
Questo il post di Adinolfi su Facebook:
Per la prima volta Adinolfi si scaglia contro il "gioco d'azzardo". Il suo è un voltafaccia al mondo del poker? Difficile pensarlo. Il politico romano, nelle varie sedi pubbliche, ha sempre difeso il poker ed ha distinto il texas hold'em dal gioco d'azzardo. Un conto quindi è parlare di uno skill games ed un altro delle slot machines o dei Gratta e Vinci.
Un mese e mezzo fa, nella prima settimana di marzo, Adinolfi era stato attaccato da Dagospia che lo accusava di "essersi sposato a Las Vegas e di essere stato un giocatore di poker".
Marione nazionale aveva tirato una bella stoccata a Nicola Zingaretti, segretario del PD e Dago lo aveva bacchettato.
Potete leggere l'articolo con la critica feroce di Adinolfi a Zingaretti e la risposta di Dagospia.
A questo punto Adinolfi si è difeso ed ha difeso il mondo del poker, per questo risulta difficile pensare che includa anche il poker nella sua "lotta al gioco d'azzardo". Non si è trattato di un voltafaccia.
La sua risposta è anche uno spunto di riflessione sul rapporto tra etica, morale e il nostro amato giochino.
Adinolfi parla del poker accostandolo al "mondo dei giochi d'abilità", mettendo la texana su un piano differente rispetto al gambling e lo fa ai microfoni di Gioconews. Questo quello che l'8 marzo aveva scritto Adinolfi sul poker in replica:
“L’idea che essere un giocatore di poker decente possa essere in contraddizione con essere un cattolico che va a Messa (non sono turbo in niente, non ho il fisico) è semplicemente un’idea troglodita. Ho scritto libri sul poker, ho vissuto le emozioni dei tavoli finali nelle più grandi competizioni internazionali come il World Poker Tour e ho sempre detto e pensato che se la politica avesse la nettezza del Texas Hold’em l’Italia avrebbe una speranza.
Peraltro ai tavoli ho incontrato italiani giovani e meno giovani la cui intelligenza e capacità di affrontare i problemi surclassano clamorosamente quelle dei sedicenti periti odontotecnici che guidano il principale partito di opposizione come quelle dei due, sempre accuratamente non laureati, che guidano i due partiti di governo.
Non mi vergogno di essere un pokerista e non mi vergogno di essere laureato. Qualche volta quei signori lì mi hanno fatto vergognare di essere un parlamentare, perché qualcuno mi accomunava alla loro
insipienza. Io sono semplicemente un marito, un papà, un cattolico, un laureato, un giornalista, uno scrittore, una persona che si batte per le proprie idee e, sì, anche un giocatore di poker. Cerco di fare ognuna di queste cose al meglio e non faccio mai la morale a nessuno. Dagospia poi ha il suo modo di fare titoli per attrarre l’attenzione, ma la mia denuncia sull’inadeguatezza delle classi dirigenti politiche apicali forse meritava di non essere buttata in caciara con paralleli come quelli sul poker che semplicemente non hanno senso. La scarsa conoscenza del mondo dei giochi d’abilità ha generato in questi mesi provvedimenti folli da parte del governo, sempre per ignoranza. E avere gli ignoranti al governo è un guaio”.